martedì 17 febbraio 2009

È il Web 2.0, bellezza!

È il Web 2.0, bellezza!

Facebook, Twitter, Digg, Wiki e compagni sono di una qualche utilità per la persona e per le aziende? Lo abbiamo chiesto a Marco Zamperini, chief technology officer di Value Team, la società di servizi Ict del gruppo Value Partners, da sempre "evangelista" dell'innovazione e sperimentatore in prima persona di ciò che accade in Rete. E secondo Zamperini le novità del Web 2.0 sono dirompenti e inevitabili.
Marco Zamperini è un fiume di parole. Basta punzecchiarlo un po' sulla "futilità" di Facebook, che parte a disegnare il contesto del Web 2.0 con un flusso di immagini e riflessioni che ti fanno percepire in corpore vivi, il suo, l'entusiasmo di stare al confine, sul bordo del campo a leggere i segni del futuro. Zamperini, 44 anni, è per scelta e missione un techno-entusiasta da sempre. Grazie al suo fiuto e alle sue capacità di team leader portò Etnoteam a primeggiare su molte aree innovative: molto prima di SecondLife i "ragazzi" di Zamperini avevano costruito mondi tridimensionali interattivi sui telefonini cellulari. Il suo ruolo nella società creata da Galimberti, Polillo, Cazziol, Maiocchi, (tra i pochissimi casi di spin-off tecnologica di successo dei Politecnici italiani) è stato anche quello di "technology evangelist" col quale ha intuito percorsi, scovato tracce che hanno fatto far soldi a Etnoteam e ai suoi clienti. Ora la società è stata incorporata nella galassia del Gruppo Value Partners di Giorgio Rossi Cairo, una multinazionale italiana della consulenza e della tecnologia con decine di sedi nel mondo, migliaia di addetti, centinaia di clienti. E Zamperini continua la sua funzione di Chief Technology Officer di Value Team, profeta e testimone del futuro, capace di stupirsi di come la folla del Web vive e interpreta la comunicazione e la tecnologia. Conosco Zamperini da tempo e mi risulta impossibile non proseguire con l'amichevolezza di sempre: il tu mi è inevitabile.

Che cosa ti ha stupito di recente?
La sorpresa più nuova è la partecipazione delle frequentatrici del sito di Donna Moderna. Come ValueTeam abbiamo partecipato al ridisegno del loro website innovando la tecnologia che permette di ottimizzare il software Flash che, grazie a un agile encoder, permette di vedere film in High Definition usando una banda di trasmissione dati molto modesta. L'abbiamo usata per trasmettere le sfilate di moda di Milano. Ciò che stupisce è la vitalità di quella community che scardina il classico rapporto 1-9-90: per uno che sul web interviene in una discussione ce ne sono 9 che lo fanno sporadicamente e 90 che stanno a guardare. La communità di Donna Moderna è invece molto più partecipata. Un risultato che ha stupito me e un po' tutti.

Che cosa ne trai come conclusione?
Che il Web resta comunque impredicibile. Non c'è una formula matematica che ti fa prevedere i risultati. Vedi per esempio l'utilizzo di Digg (lo schermo del suo pc è una fantasmagorica tavolozza di colori animata dalle news raccomandate dagli utenti di Digg e visualizzate in una delle tante forme dei DiggLabs).

Non distrae dal lavoro questo flusso continuo di news importanti per "popolarità"?
Lascia perdere la visualizzazione e guarda la sostanza: questo è partecipazione. Io leggo una news interessante e la segnalo, la categorizzo secondo un mio schema e miei parametri che, guarda caso, sono gli stessi di altre persone. È come Wikipedia: una conoscenza che viene costruita dal basso, da tutti. Questa è l'information technology "pop" non quella "d'elite" dei primi anni, quella fatta da chi indossava un camice bianco e usava un gergo per iniziati. E inevitabilmente dentro c'è tutto come c'è tutto nella vita d'ogni giorno: quando vai sul tram c'è chi ascolta la musica alta e colta e chi con le cuffiette sente le canzonette. È la vita normale. Ma il social bookmarking, è utile anche all'impresa.

Che ci fa un'impresa col social bookmarking?
In ValueTeam l'abbiamo applicata in molte aziende. L'enterprise è per definizione una trusted company: chi è nella intranet è pagato per far andare bene le cose in azienda, raggiungere obiettivi comuni e condivisi. Se quindi faccio un Digg e ogni dipendente che segue un progetto segnala ed etichetta le informazioni rilevanti per lui, e quindi per gli scopi aziendali, non fa che accrescere la propria conoscenza e quella del gruppo di lavoro, dell'intera azienda. Si raggiunge in questo modo una qualità di conoscenza che è superiore di ordini di grandezza a quella raggiunta da tutte le tecnologie di knowledge management finora inventate. E funziona. Se poi aggiungi a questo una tecnologia poverissima, come quella del "tag-cloud" che visualizza in modo più cicciotto le parole più popolari, hai anche un'efficacia comunicativa che non si può paragonare alle complesse interfacce utilizzate finora.

Che cosa vuoi dimostrare con questo?
Che gli utenti usano già queste cose, spontaneamente, in modo anarchico. Che l'IT e i responsabili dell'information technology aziendale, non hanno alternative. È inutile che mettano il mastice alle porte Usb dei pc dei dipendenti per controllare la sicurezza e la fuga dei documenti perché con Bluetooth connetto, scarico file, sincronizzo il cellulare. Col Web Siamo sempre esposti. E quindi è meglio che queste tecnologie anziché in modo anarchico e individuale vengano utilizzate anche in azienda e quindi, in certo qual modo, in una maniera discretamente controllata. Un tempo l'uomo del camice bianco rispondeva che per fare un'applicazione bisognava aspettare mesi, investimenti, decisioni. Mentre l'utente vede che può fare da solo e con niente di complicato perché ha tutto già pronto sul web.

Sei per l'anarchia relazionale, insomma.
Senti qua. Eravamo in una riunione con una grande banca quando una dirigente dice candidamente di aver costituito gruppi di lavoro utilizzando la condivisione dei documenti di Google Docs. Al Cio si son drizzati i capelli per i rischi relativi alla sicurezza delle informazioni. Ma la realtà è questa. Usare il blog per condividere, scambiarsi pareri, far procedere il progetto con il wiki è molto più efficiente. Il wiki non è che un tatzebao sul quale la folla dei partecipanti scrive. Con un ulteriore vantaggio: la fine dell'email e dei thread degli allegati, delle copie conoscenza. Basta, io sono per l'abolizione della posta elettronica.

Addirittura niente più email?
Se devo comunicare al mio piccolo gruppo di lavoro uso un microblogger come Twitter e indico contemporaneamente a tutta la micro comunità a che punto sono arrivato, che cosa ho modificato nel progetto che è nel wiki, nel documento condiviso. Non intaso inutilmente le mailbox. E magari comunico anche che ho mal di testa. E in risposta forse ricevo un incoraggiamento, una pacca sulla spalla, una battuta di simpatia che mi fa sentire vicini gli amici. È come al bar o alla macchinetta del caffè, niente di più e niente di meno, ma che coinvolge in modo non invadente le persone che tengono a me, al contatto umano con me. Questi sistemi di microblogging non fanno che amplificare la capacità di stare in relazione.

In effetti sei popolarissimo: hai 3.600 "amici di Facebook", 1.500 contatti in Linkedin, migliaia di seguaci in Twitter, e così via.
Ho anche una mia WebTv, fatta con le registrazioni che gli amici fanno dei miei interventi nei convegni. Giuro, però, che ho stretto la mano almeno una volta al 90% delle persone che sono miei "amici" su Facebook. Non sono un collezionista di contatti né voglio stabilire record.

Tornando all'email: perché devo continuare ad essere responsabile dei dati aziendali che finiscono nella mia casella postale sul mio hard disk? Non è meglio, anche per l'azienda, che i documenti stiano nella "nuvola" dell'infrastruttura informatica aziendale? E poi ci sono gli instant messenger, i feed RSS: le cose e le persone vengono a te. E in modo semplicissimo. Non a caso RSS significa Really Simple Sindication. Che cosa significa tutto ciò? Che quei documenti di progetto cui sono interessato e autorizzato mi arrivano dalla rete: basta aver sottoscritto il feed.

È una questione metodologica, non tecnica: i modelli centralistici hanno fatto il loro tempo. Molte aziende l'hanno capito e usano per esempio la Rete per ascoltare direttamente il parere dei consumatori: ci sono fior di casi di studio in cui per esempio le caratteristiche d'un prodotto vengono decise chiedendolo direttamente agli utilizzatori. Perché fare dei "concept" e focus group quando ci sono gli utenti reali che ti possono dire che cosa preferiscono? E per diffondere in azienda questo metodo operativo di utilizzare la tecnologia basta far percepire all'individuo il personale vantaggio che ricava dall'utilizzarla. Da qui verrà anche più facilmente la responsabilizzazione, l'attenzione a ciò che si dice, che si fa in rete, come ci si presenta.

Dove vuoi andare a parare?
Al fatto che comunque vada, che tu sia un individuo o un'azienda o un marchio, la Rete parla di te. Piuttosto che lasciare che di te si dicano pettegolezzi malevoli, difficilissimi da togliersi da dosso una volta che ti sono stati appiccicati, tanto vale esserci direttamente, almeno per far valere il proprio punto di vista. Magari se uno dice che sei uno stupido, c'è qualche amico che interviene in tua difesa e sostiene che non è vero. Insomma, sono stufo di fare gli interessi di Google ma voglio che Google lavori per me.

Che cosa vuoi dire?
Che all'inizio molti dicevano "Google fa molte cose gratis per me" mentre in realtà erano loro a fare gratis gli interessi di Google manifestando i propri interessi. Invece è l'algoritmo di Google che deve lavorare per me e lo faccio lavorare per controllare la mia reputazione. Se cerchi su Google "Marco Zamperini" sono tra i primi risultati del motore di ricerca.

Frutto di un ego spropositato!
Forse. Ma è anche una tutela. È un esempio di che cosa significa Web 2.0. Un'azienda non può fare a meno di tutelare la propria reputazione. È importante che i responsabili dell'impresa sappiano che cosa si dice della marca e dei prodotti che fa. Ed è meglio essere attivi piuttosto che passivi.

Visto che ne sei un grande frequentatore, come cambierà Facebook?
Non lo so, lo dirà la folla del web. Ma io non voglio restarne fuori. Voglio essere partecipe del cambiamento mentre sta succedendo.

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